Perizia nel diritto civile

Spesso si crede che il tema della perizia sia inerente solamente i processi penali. In realtà, la perizia, intesa come consulenza tecnica, è un meccanismo complesso che interviene anche in materia di diritto civile, ossia quella branca del diritto che si occupa dei rapporti giuridici tra i privati.
L’insieme delle norme che costituiscono il nucleo centrale di tale branca del diritto è contenuto quasi interamente nel Codice Civile emanato nel 1942.
In precedenza, per diversi secoli, gran parte della materia rientrante nel diritto civile si presentava sotto forma consuetudinaria: le relazioni giuridiche tra i privati erano cioè regolate non da indicazioni di comportamento dettate tassativamente dallo Stato, bensì da norme prodotte “spontaneamente” dalla società intera mediante la ripetizione generale, costante ed uniforme (oltre che ripetuta nel tempo) di un comportamento tenuto dai privati i quali avevano radicata nella loro cultura la convinzione della loro obbligatorietà giuridica.
Le differenti sfaccettature della materia era poi regolate da diversi complessi di norme comprendenti:
il diritto feudale, che regolava i rapporti tra signori feudali e contadini;
il diritto canonico, vale a dire il diritto della Chiesa Cattolica che regolava la disciplina matrimoniale;
il diritto mercantile, che regolava tutti i rapporti commerciali e di scambio. 
A cavallo tra il XVIII  il XIX secolo si assiste all’esigenza di unificazione normativa e, soprattutto, di garantire un testo normativo scritto che sfocia, nell’età della rivoluzione francese nella redazione del Code Napoléon del 1804: a distanza di meno di cento anni nasceva il primo codice civile italiano (1865), fortemente ispirato ai principi del codice civile francese.
L’attuale codice civile italiano, emanato nel 1942, oltre a contenere innumerevoli reminiscenze del codice civile francese, ha in sé una caratteristica unica rispetto agli altri codici civile europei: contiene, infatti tanto la disciplina del diritto civile quanto la disciplina del diritto commerciale, che in precedenza erano dettate in due codici separati.


Nel diritto civile fondamentale importanza hanno le condizioni psicologiche dei soggetti soprattutto in relazione alla  possibilità di disporre dei propri diritti.
Si parla di capacità di agire alludendo alla possibilità dei soggetti di disporre legittimamente dei propri diritti mediante manifestazioni di volontà. 
Nel nostro ordinamento, in linea di principio, la capacità di agire e cioè di disporre dei diritti, raggiunge la sua massima attribuzione con il raggiungimento del diciottesimo anno di età.
Tuttavia, può ben accadere che un soggetto, anagraficamente idoneo ad essere titolare di diritti e teoricamente in grado di disporre degli stessi, in concreto non abbia le attitudini mentali tali per cui possa realmente intraprendere delle decisioni rilevanti giuridicamente.
Il diritto, in tale caso, intende proteggere tutti coloro la cui incapacità di intendere e di volere sia tale da poter rappresentare un vero e proprio rischio di arrecare un danno nei propri confronti.
Le cause che possono limitare o escludere la capacità di intendere e di volere sono la minore età, l’alterazione delle facoltà mentali e altre minorazioni.
Le incapacità, nel diritto civile, vengono distinte in legali e naturali: le prime sono proclamate dalla legge o giudizialmente ; le seconde consistono in stati di fatto in cui viene a trovarsi un soggetto generalmente e normalmente capace di intendere e di volere, anche se improvvisamente o in via temporanea, ma talmente gravi da escludere la sua capacità di intendere e di volere, la cui rilevanza giuridica sussiste solamente laddove si fornisca la prova caso per caso.
La maggiore età, come noto,  è fissata al compimento del diciottesimo anno, e con essa si acquista la generale capacità di agire (art. 2 Cod. Civ.): la legge, in tale caso, ha determinato qui un limite uguale per tutti, nonostante la maturità mentale venga raggiunta in tempi diversi secondo le disposizioni naturali dei diversi individui (Pietro Trimarchi, Istituzioni di diritto privato, Giuffré ed).
In tale ipotesi è chiara l’esigenza di semplificazione volta ad evitare numerosissimi e macchinosi accertamenti, il tutto per rendere più sicuri e spediti i traffici giuridici.
La cura della persona del minore e l’amministrazione dei suoi beni è affidata normalmente ai suoi genitori, i quali hanno a questo scopo un insieme di poteri che costituiscono la potestà genitoriale.
È opportuno richiamare, in tale contesto, la riforma del diritto di famiglia del 1975 la quale, allontanando la precedente disciplina normativa che attribuiva tale potestà esclusivamente al padre (si parlava infatti di patria potestà), pone entrambi i coniugi sullo stesso piano di eguaglianza, per cui la potestà sui figli deve essere esercitata da entrambi, salvi i casi di impedimento dell’uno o dell’altro genitore. Unico importantissimo limite sta nel fatto che la potestà, in ogni caso, va esercitata nell’interesse del minore nei cui confronti tale potestà risulta essere un dovere.
Si ricorda che sottrarre un minore al genitore che ne esercita la potestà è un reato.
Da notare, però, che potrebbe bene accadere che l’incapacità di intendere e di volere derivi da una causa transitoria: si pensi all’ubriachezza, all’intossicazione acuta da stupefacenti, allo stato ipnotico, o ad un “semplice” delirio febbrile; per tali ipotesi, tutt’altro che scolastiche, come ovvio, non può esserci né interdizione né inabilitazione.
Lo stato soggettivo dei soggetti rileva soprattutto nei seguenti settori del diritto civile:
in materia di diritto di famiglia (es: matrimonio o riconoscimento di figlio naturale..) i negozi conclusi da chi si trovi in stato di incapacità naturale di intendere e di volere possono senz’altro essere annullati ex art. 120 cod.civ.: in tali ambiti è prevalente sicuramente l’esigenza che tali negozi siano voluti con piena consapevolezza;
in materia successoria, l’incapacità naturale rende senz’altro nullo il testamento;
in materia di donazione e, per analogia qualsiasi atto di liberalità, l’incapacità rende nullo l’atto compiuto a scapito dell’affidamento del destinatario dell’attribuzione che potrebbe trarre un ingiusto profitto dalla cessione gratuita operata dall’incapace;
in materia di atti unilaterali, quando essi sono gravemente dannosi per l’incapace sono annullabili ex art. 428 cod.civ.
Una disciplina particolare è dettata in materia contrattuale: esso è un vincolo giuridico tra due più parti teso a costituire, regolare o estinguere tra loro un rapporto giuridico patrimoniale (art. 1321 cod. civ.);
Uno dei requisiti essenziali del contratto è l’accordo, appunto, intervenuto tra le parti, ossia l’incontro delle loro manifestazioni di volontà. 
Sono pertanto legalmente incapaci di contrattare coloro ce non hanno ancora acquisito, come si è detto, la capacità di agire e coloro che, pur avendola, l’hanno successivamente perduta: oltre al caso già enunciato, dei minori, gli infermi totali di mente e altresì gli infermi parziali;
Il contratto concluso dall’incapace legale di agire è annullabile (art. 1425 Co. 1, c.c.) e l’annullamento può essere domandato al giudice da chi esercita la potestà genitoriale (genitore o tutore) o dai soggetti nominati dal Tribunale, Tutore o Curatore e, altresì, dallo stesso incapace, una volta raggiunta la maggiore età, se minorenne, o una volta revocato lo stato di interdizione o inabilitazione ad opera dello stesso Tribunale .
N.B.: Ex art. 1426 cod. civ. non potrà essere annullato il contratto concluso dal minore qualora questi abbia con raggiri occultato la propria età, ad esempio esibendo dei documenti di identità falsi, tali da indurre i errore l’altra parte contraente; non è però sufficiente la mera dichiarazione del minore di avere già compiuto la maggiore età.
Differente dall’incapacità legale è invece la situazione di colui che, giuridicamente dotato di capacità legale, l’incapacità di intendere e di volere del maggiorenne affetto da infermità mentale ma non interdetto né inabilitato o ancora di colui che si trova, come in precedenza affermato, in stato temporaneo di incapacità (dovuto ad esempio a stato di ubriachezza o da intossicazione da sostanza stupefacente).
In tali ipotesi occorre operare la fondamentale distinzione fra atti unilaterali e contratti, perché i primi sono annullabili su istanza dell’incapace o dei suoi eredi o aventi causa solo se si prova che dall’atto deriva un grave pregiudizio all’incapace stesso.
I contratti invece sono annullabili su istanza dell’incapace o dei suoi eredi o aventi causa solo se si prova, oltre al pregiudizio per l’incapace, anche la mala fede dell’altro contraente il quale conosceva lo stato di incapacità naturale o avrebbe potuto conoscerlo utilizzando il quantum minimum di ordinaria diligenza.
Il grave pregiudizio per l’incapace, dunque, se sufficiente ad annullare gli atti unilaterali da questi conclusi, non è però sufficiente per annullarne i contratti, occorre infatti lo stato soggettivo della mala fede dell’altro contraente, spesso di difficile esperimento .
Per accertare lo stato mentale di chi dovrà essere dichiarato incapace di intendere e di volere, sia totalmente sia parzialmente, il Tribunale nominerà, come in precedenza detto, un consulente tecnico d’ufficio il quale di fronte ai consueti obblighi di veridicità e imparzialità, aiuterà il giudice a valutare la determinazione dello stato del soggetto.
Il CTU utilizzerà alcuni strumenti di sussidio psicodiagnostica come test proiettivi (es: Rorschach) in base alle proprie metodologie di ricerca.
Per approfondimenti si consiglia il Trattato di psichiatra forense di Ugo Fornari, Utet, dal quale sono tratti alcuni fondamentali riferimenti.

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