20 coltellate, un femminicidio: overkilling e fenomeni predatori.

La notte del 1 febbraio 2021 porta con sé dolenti note omicide. E, manco a dirlo, ancora, una (ex) donna. Una Ex compagna che, nella mente di chi uccide, non ha più diritto ad avere lo status di donna. Non ha diritto a vivere, non ha diritto ad avere un nuovo compagno, non ha diritto ad avere una nuova vita. Non è più, appunto, una donna. Nemmeno potenziale. 
È un’ex. “O mia o di nessuno” è il probabile tuono nella mente di chi uccide la propria ex compagna, fidanzata o moglie che sia. Minervino di Lecce si fa teatro di una delle morti più dure, ingiuste ed inique di cui l’uomo possa rendersi protagonista: non un incidente, non una lite temeraria, nessun torto. Nel caso di Sonia Di Maggio, 29 anni, emerge chiaro l’episodio violento che si spinge fino all’overkilling, rappresentato, appunto da quelle brutali 20 coltellate. L’accanimento sul corpo rappresenta quell’eccessivo e controverso spirito predatorio che l’uomo riversa nella donna. Overkilling (o overcrime) vuole indicare proprio questo spingersi oltre la morte e continuare, fermi, nel proprio progetto di massacro. L’espressione overkilling, non a caso, viene presa a prestito dal vocabolario etologico, dal mondo - appunto - animale. Sebbene è quasi offensivo verso il mondo animale appropriarsi di comportamenti che, per l’animale, appunto, sono naturali. Nel mondo animale, dunque, rappresenta un classico fenomeno predatorio che si verifica quando il predatore (si pensi ad esempio ad una volpe, un procione, una lince, una iena) uccide più prede di quante gliene siano utili per sfamarsi. In criminologia delinea quel comportamento di chi si accanisce contro un corpo, ad esempio con armi bianche o da sparo, ben oltre la necessità di cagionarne la morte, ben oltre, dunque, l’indispensabile. Sia chiaro, l’evento morte è tale e significativo sia che a cagionarlo sia stata una coltellata sia che siano state 10 scariche di arma da fuoco. Tuttavia, l’accanimento sul corpo unito all’atteggiamento dell’autore delineano elementi comuni a certi tipologie di delitti che sfociano in una totale mancanza di empatia, nel disprezzo per le emozioni altrui e nel forte desiderio di “cancellare” fisicamente, una persona. L’overkilling determina quella che, in criminologia, viene definita disumanizzazione, quasi a voler neutralizzare qualsiasi spessore umano, della vittima. 

Tiziano, Miracolo del marito geloso, 1511

Qual è la situazione italiana in ordine al delitto di femminicidio? 
Ad introdurla - sul piano statistico – il rapporto EURES sul femminicidio (e la violenza di genere) anche in relazione al lockdown e al perdurare di convivenze difficili.
Resta stabile il numero dei femmicidi in Italia, cioè delle uccisioni di donne commesse in nome di una cultura di matrice patriarcale. Secondo gli ultimi dati diffusi dall’Eures, in Italia, nei 10 mesi del 2020 si contano 81 femminicidi (da 85 dello stesso periodo del 2019). Sommando anche i dati degli omicidi di donne legati alla criminalità comune o a contesti di vicinato, le vittime salgono a 91, ancora una ogni tre giorni. 
Emerge, dunque, una diminuzione significativa soltanto delle vittime legate alla criminalità comune (da 14 ad appena 3 nel periodo gennaio-ottobre 2020), mentre risulta sostanzialmente stabile il numero dei femminici di familiari (da 85 a 81) e, all’interno di questi, il numero dei femminici di coppia (56 in entrambi i periodi. Aumentano, infine, le donne uccise nel contesto di vicinato (da 0 a 4). Il lockdown ha inciso negativamente sui femminicidi. 
Uno degli aspetti più rilevanti nell’analisi Eures riguarda la “correlazione tra convivenza e rischio omicidiario”. Premesso che il femminicidio è un reato commesso nella maggior parte dei casi all’interno delle mura domestiche, e segnatamente all’interno della coppia, il lockdown ha fortemente modificato i profili di rischio del fenomeno, aumentando quello nei rapporti di convivenza e riducendolo negli altri casi. In valori assoluti, nel confronto tra i dieci mesi del 2019 e il medesimo periodo del 2020, il numero dei femminicidi familiari con vittime conviventi sale da 49 a 54 (+10,2%), mentre contestualmente scende da 36 a 26 quello delle vittime non conviventi (-27,8%). Autori della violenza sono soprattutto partner, ex o familiari.
È da dire che l’aumento delle chiamate al 1522 è legato a vari fattori, non riflette solo l’incremento della violenza stessa, ma anche la maggiore conoscenza dello strumento per chiedere aiuto, grazie anche alle campagne promozionali incrementate proprio in occasione della pandemia, e la maggiore consapevolezza delle donne sulla possibilità di chiedere aiuto. Nella maggior parte dei casi (più del 90%), a chiamare sono le persone vittime. Altre richieste arrivano da parenti, amici e dagli operatori. Nell’ambito familiare, a segnalare la violenza, sono soprattutto i genitori delle vittime (22,3% nel 2020), seguiti dai figli (15,4%) e dai fratelli o le sorelle (11,3%). Gli autori sono soprattutto il partner attuale (nel 58,4% dei casi), l’ex partner (15,3%) e un familiare, come un genitore a un figlio (18,8%). In aumento il fenomeno della violenza assistita Le conseguenze, purtroppo, non sono solo per le vittime e spesso sono coinvolti i minori che diventano vittime di violenza assistita. Quasi il 70% delle donne che subiscono violenza ha figli, e a volte sono proprio questi ultmi che trovano il coraggio di chiamare il 1522. Il 30,7% delle donne vittime ha figli minori, un dato in diminuzione nel 2020, anche se l’elevato numero di chiamate interrotte durante l’anno in corso anno ha generato un alto numero di risposte mancanti. Ne consegue che la violenza assistita è un fenomeno diffuso, nel 48% dei casi i figli hanno assistito alla violenza e nel 10% l’hanno subita loro stessi. 
Come conseguenza, circa il 50% ha mostrato inquietudine, il 10% aggressività e in una percentuale simile hanno assunto comportamenti tipici degli adulti, ribaltando i ruoli e accudendo loro i genitori. Meno frequenti, invece, sono i disturbi dell’alimentazione e del sonno. 
Un importante studio europeo sui profili del femminicida.
Prendendo spunto da un importante studio condotto dal criminologo Raúl Aguilar Ruiz e relativo all’analisi di oltre 200 condanne per femminicidio, è possibile delineare diversi profili identificativi del femminicida. Occorre sottolineare che oggetto di studio sono stati esclusivamente autori affetti da patologia mentale rilevante, andando a delinearne, così, quattro tipologie: 
- Il malato di mente 
- L’antisociale/coercitivo 
- Il normalizzato/impaurito 
- L’antisociale moderato/geloso 
Il malato di mente 
Non si parla, dunque, di criminali veri e propri (almeno, non in ordine all’abitualità) ma di soggetti patologici, con sintomatologia psicotici, schizofrenia, delirante o bipolare. L'omicidio si verifica a seguito di crisi acute derivate dalla psicopatologia e non è associato ad altri fattori di rischio quali, ad esempio, la gelosia. La patologia, nella maggior parte dei casi, non permette loro di comprendere la propria condotta, né dal punto di vista emotivo, né dal punto di vista della punibilità. L’antisociale/coercitivo 
Si tratta di soggetti con alle spalle una lunga storia criminale, dediti all’abuso eccessivo di alcol e sostanze stupefacenti dal cui consumo deriva, appunto, la loro patologia. Tendono a reagire in modo eccessivamente violento all’abbandono, al rifiuto, così come la gelosia sfocia in attacchi imprevedibili contro le donne. 
Il normalizzato/impaurito 
Presenta una grave storia depressiva nel periodo immediatamente precedente al termine della propria relazione. L’ansia lo caratterizza, sebbene non appare particolarmente dedito all’abuso di sostanze alcoliche o stupefacenti. L’anno che precede il femminicidio è generalmente preceduto da ripetuti episodi di violenza, spesso assistiti da denuncia da parte della vittima.
 L’antisociale moderato/geloso Il movente del femminicidio risiede in un forte moto di gelosia nei confronti, questa volta, di un altro uomo. È possibile affermare, dunque, che in tale ipotesi l’impulso omicida è di tipo passionale.
Come già ripetutamente sostenuto su questo blog (qui, e ancora qui o qui), tolti i casi di raptus omicida (spesso scongiurati) o di uccisioni estemporanee (ad esempio relative a vittime con le quali non si avevano rapporti o che non si conoscevano), spesso si tratta dell'evoluzione e della degenerazione di rapporti malati, patologici e preoccupanti.
Spesso l'omicida ha già molestato ripetutamente la propria vittima, ha abusato sessualmente, ha adoperato violenza verbale e fisica. Talvolta a questi comportamenti seguivano denunce, altre volte, come spesso accade, le denunce non ci sono e si alimenta quel numero oscuro, quella zona d'ombra non soggetta a controllo.

"é l'ennesima storia che fa del male, unico vero  protagonista. Quel male, prerogativa dell'uomo. Triste prerogativa dell'uomo. Prerogativa incomprensibile, se prima, non si è partiti dal bene. E si, perché si deve partire da un bene profondo. Da un amore intimo. Una passione intensa. Un piacere unico. 
L'amore irrinunciabile. Al punto che, se qualcuno scappa, con prepotenza lo si rincorre. E con violenza lo si placa....
(da Femminicidio, ancora, in Grossesco Crimine, 14.09.2017)

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