L’odio misogino generalizzato e pregiudizio
L’odio misogino è un atteggiamento che deriva dal pregiudizio ossia da un preconcetto negativo riversato nei confronti di un determinato gruppo sociale, in tale caso, nei confronti delle donne.
Il pregiudizio nei confronti delle donne interessa, in primis, l’antropologia in quanto nasce dalla maniera con la quale ci si approccia alla realtà.
Inoltre, accanto alla componente antropologica vi è la componente individuale/psicologica: spesso, infatti, si basa sulle paure, sulle fobie che un singolo individuo attribuisce ad elementi sconosciuti.
Spesso il pregiudizio nei confronti delle donne sfocia in comportamenti di aggressività, ossia comportamenti verbali o materiali, intenzionali, posti in essere per causare sofferenza o arrecare danno ad un’altra persona. (calci, schiaffi, minacce, insulti, pettegolezzi e allusioni pesanti, distruzione di proprietà o beni materiali, la menzogna).
Una delle prime teorie psicologiche fa derivare il comportamento aggressivo da una diretta frustrazione da intendersi come ogni impedimento, ogni ostacolo che impedisce il raggiungimento di un obiettivo (John Dollard, aggressività e frustrazione 1939).
Interessante la teoria di Albert Bandura (1977; 1997) circa l’apprendimento dell’aggressività, per il quale ogni essere umano tende ad apprendere i comportamenti sociali (anche di aggressività) osservando e imitando, laddove la famiglia è il primo nucleo sociale di apprendimento, così come stimoli fondamentali sono rappresentati dagli ambienti culturali, scolastici o mediatici.
Femminicidio
I comportamenti delittuosi perpetrati nei confronti delle donne e che sfociano nell’uccisione di quest’ultima stanno dilagando e assumono rilevanza sempre maggiore, soprattutto alla luce dei fatti di cronaca degli ultimi anni.
Sono aumentati infatti i casi di uccisione di donne ad opera dei coniugi, dei compagni e, soprattutto degli ex partner, per i quali si ravvisa spesso un movente “passionale”, una reazione ad un distacco inaspettato, lo sfogo, appunto, delle proprie frustrazioni, o l’epilogo estremo conseguente a litigi quotidiani.
E se l’aggressività è l’atteggiamento espressione di apprendimento sociale, anche gli strumenti di attenuazione di tali atteggiamenti dovrebbero essere volti alla riduzione degli stimoli violenti e a promuovere l’empatia nei confronti del prossimo.
Impossibile parlare sempre di raptus omicida, proprio perché, spesso, il vissuto delle vittime di femminicidio è testimonianza diretta di violenze manifestate in diverso modo che anticipano e, talvolta, rendono prevedibile o quanto meno preoccupante, un futuro comportamento criminale.
Il femminicidio è sovente, infatti, l’epilogo di una serie di comportamenti precedenti: si pensi allo stalking, alle ingiurie, alla violenza verbale nonché fisica. Spesso vi sono denunce che non hanno avuto seguito; altre volte l’omessa denuncia, quasi a voler dimenticare o minimizzare alcuni episodi di violenza subiti.
E se in minima parte chi uccide è affetto da patologie psichiatriche, al contrario una percentuale molto alta di femminicidi è stata, appunto, preceduta da ripetuti episodi di violenza aggravate nel tempo.
È bene dunque rivolgersi ad enti di tutela e promuovere iniziative volte alla denuncia di comportamenti aggressivi violenti, onde poter evitare, ove possibile, reiterazioni di maltrattamenti che possano sfociare verso ulteriori episodi omicidiari.
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