QUANDO PAPÀ UCCIDE
Poco rilevano le condizioni culturali e sociali. Poco importano le maschere che si indossano nella quotidianità della vita. Un padre che uccide i propri figli induce alla legittima domanda su come sia possibile non aver lasciato dietro di sé degli atteggiamenti indiziari di un qualsivoglia disagio. Psicologico o esistenziale. Relazionale, comportamentale.
Ma davvero una padre amorevole e dedito alla propria famiglia un giorno potrebbe alzarsi e diventare Jack Torrance di Shining, ipotetico boia dei propri figli?
Potrebbe essere questo uno dei casi in cui l’autopsia psicologica e il vissuto del padre/assassino dei propri figli potrebbe aiutarci a determinare le ragioni di un gesto iniquo e incomprensibile.
L’uccisione dei propri figli è un omicidio. Un omicidio, aggravato dalla circostanza che le vittime sono discendenti diretti dell’autore del reato (v. art. 61 c.p. e art. 576 c.p. se il fatto è commesso contro l'ascendente o il discendente ..) e dunque il disvalore sociale, nonché penale, è ancor più evidente e traumatizzante.
Come detto in tema di Fenomenologia dei crimini violenti colui che compie una strage famigliare tende al suicidio, come atto lesivo-definitivo su sé stesso.
Raramente non ci si trova di fronte a soggetti in preda a stati depressivi significativamente accentuati o a persone con una bassissima soglia di tolleranza allo stress.
Molte volte si può pensare allo sfogo finale di una situazione di crisi coniugale, un “dispetto” fatto al coniuge. Anche se logicamente impensabile si possano uccidere i propri figli per dispetto. È lontana da ogni naturale comprensibilità.
La difficile analisi sta proprio nel fatto che, il suicidio, inteso proprio come atto lesivo definitivo, elimina anche la possibilità di rintracciare un movente e, soprattutto, di poter punire il colpevole e recriminare una condotta penalmente rilevante.
Di fatto rimane lo sgomento, di chi sopravvive al massacro, per mera fatalità o per volontà ultima dell’autore. Ed eccola, la persona concretamente punita dalle circostanze. Come per molti altri delitti impuniti, alla vittima, il castigo più iniquo.
"Padre, assai ci fia men doglia
se tu mangi di noi: tu ne vestisti
queste misere carni, e tu le spoglia"
Dante, Inferno XXXIII
In copertina William Blake, il conte Ugolino con i figli, 1824/1827
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