Violenza di genere e overkilling: il massacro oltre la violenza. Il femminicidio di Giulia Tramontano.
La violenza contro le donne rappresenta
una violazione dei diritti umani, ed è definita dall’art. 1 della Dichiarazione
Onu, sull’eliminazione della violenza contro le donne, come “ogni atto di violenza fondata sul genere che provochi un danno o una sofferenza
fisica, sessuale o psicologica per le donne, incluse le minacce, la coercizione
o la privazione arbitraria della libertà”.
Laddove, è violenza di genere ogni forma
di maltrattamento, psicologico e/o fisico, compresa dunque quella sessuale, gli
atti persecutori (stalking), lo
stupro, fino all’uccisione di persone (non soltanto donne, appunto)
discriminate in base al sesso.
Molto spesso, infatti, gli episodi che
conducono all’uccisione, sono l’epilogo di una serie di comportamenti
perpetrati in maniera ripetuta, un insieme di condotte che possono - a volte -
preannunciare l’evento finale.
In tal senso, dunque, alcune condotte
possono sicuramente essere prevenute: fondamentale in tal senso, risulta essere
la costruzione di un fitto apparato preventivo da radicarsi nel tessuto
sociale, oltre ad un (naturale) supporto normativo/giuridico.
L’espediente punitivo, tuttavia, non è
totalmente idoneo ad assurgere da deterrente nella commissione di reati di tale
indole, ma ben si colloca in un contesto di salvaguardia della società dal
pericolo di reiterazione del reato e, dunque, dalla commissione – da parte
dell’autore – di altri delitti. E con la speranza che la punizione si unisca ad
una fondamentale (e spesso efficace) matrice rieducativa del colpevole.
Giulia Tramontano
Con trentasette coltellate, la sera di
sabato 27 maggio 2023, a Senago (MI) è stato consumato un femminicidio ai danni
di una giovane donna di 29 anni, Giulia Tramontano.
Il 31 maggio Alessandro Impagnatiello,
fidanzato della ragazza che ne aveva denunciato la scomparsa, confessa il
femminicidio.
Tra la consumazione del delitto e la
confessione, il giovane trentenne mette in atto una serie di condotte utili non
solo a contestualizzarne l’operato ma, altresì, a contribuire a determinarne le
caratteristiche.
Metteva in atto, in primis, meccanismi di depistaggio: dapprima con l’invio di
messaggini sul cellulare della vittima, fingendosi preoccupato per la sua
scomparsa [..“Baby dove sei? Ci stiamo
preoccupando tutti” e ancora “batti
un colpo”…].
Poi, cercando un modo efficace per
disfarsi del cadavere della giovane ragazza: dopo averlo posizionato nella
vasca da bagno, cerca di bruciarlo, senza riuscirci.
Allora lo carica in auto per abbandonarlo
poco lontano da casa dove tenta nuovamente di incendiarlo, senza portare a
compimento il suo intento.
L’opera di inquinamento delle prove
continua: l’assassino procede con la pulizia della casa e con un riordino
maniacale di ogni oggetto presente nell’abitazione stessa.
Gli investigatori riferiscono che
l’alloggio, così come il pianerottolo dell’abitazione, presentavano un enorme
quantitativo di sangue, impercettibile ad occhio nudo, ma rilevato grazie all’utilizzo
del luminol […composto chimico
utilizzato per rilevare tracce biologiche…].
Diventata di dominio pubblico, la scomparsa di Giulia interessa i media ed alcune trasmissioni televisive
nazionali.
Le ricerche di Giulia sono durate quattro
giorni durante i quali sono giunte alla cronaca notizie, manierate, sulla sua
vita e sulla sua relazione con il fidanzato.
Giulia, incinta di sette mesi, viene a
sapere che Alessandro conduceva, parallelamente, una seconda relazione con una
ragazza indotta ad interrompere un’ulteriore gravidanza.
La sera dell’omicidio Giulia incontra la
ragazza con la quale Alessandro intratteneva questa relazione e, una volta
arrivata a casa, il confronto/scontro tra i due sfocia nella probabile furia
omicida di Impagnatiello.
Da pochi giorni è stato pubblicato il
fotogramma che ritrae l’incontro delle due ragazze, unite in un abbraccio
(chiarificatore?) o di compassione e conforto reciproco. Dubitare è un obbligo.
Di fatto, dopo l’uccisione e, soprattutto,
dopo il tentativo di depistaggio, Alessandro Impagnatiello cerca di ricavare
immagini dalle telecamere di sicurezza dei locali adiacenti il luogo nel quale
ha abbandonato il corpo della fidanzata.
In situazioni come questa, in assenza di
giudicato e, dunque, di una verità processuale, un ottimo punto di partenza per
procedere ad una analisi il più possibile obiettiva, è quello di muoversi con
cautela interpretativa.
Occorre partire da elementi oggettivi, da
fatti concreti, fino ad arrivare alle ipotesi il più possibile aderenti al
fatto materialmente commesso ed ascrivibile all’autore – reo confesso del
delitto.
Innanzitutto, individuando i reati
commessi, le modalità di espletamento del delitto e come queste possano essere
ricondotte all’autore/reo confesso.
E ancora, dubitare per riflettere e
domandarsi: chiunque, ove si verifichino le condizioni, può manifestare
comportamenti criminali? È proprio vero che chiunque può uccidere?
Lo psichiatra Antonio Picano, nel
corso di un’intervista rilasciata su TAG24, affronta un’analisi molto
significativa sull’ipotesi della personalità di Alessandro, che si riporta
integralmente.
È un uomo che sa quello che fa,
conosce le conseguenze delle sue azioni, ma non prova sentimenti associati alle
azioni. Non ha presente il dolore che genera negli altri - spiega il professor Antonio Picano, psichiatra - lo
può immaginare, ma non lo rappresenta con la vividezza che abbiamo noi.
È un narcisista patologico,
grande manipolatore. Le tesi sulla sua personalità sono contrapposte: c’è chi
dice che è stato educato male, non ha avuto la capacità di sviluppare le
funzioni, o qualcosa si è rotto nella sua mente tanto da configurare una
malattia o un disturbo.
Il concetto di personalità psicopatica serve a identificare persone che vivono
consapevolmente, fanno soffrire gli altri senza nessuna difficoltà. Si tratta
di persone che hanno qualcosa di diverso da noi. In costoro quel qualcosa che
non funziona non può essere corretto con le medicine, ad esempio. Sono persone
in cui c’è qualcosa che non funziona, ma che non compromette la capacità di
capire che sta facendo qualcosa di sbagliato”.
Nel caso in esame, interessanti (e
fondamentali) da capire sono le condotte tenute dall’autore reo confesso,
Alessandro, precedenti e successive all’evento morte.
È stato recentemente reso noto come
l’imputato abbia ripetutamente messo in atto condotte finalizzate
all’avvelenamento, anche graduale, della propria compagna.
Il reo confesso del femminicidio della
propria compagna incinta di sette mesi cercava online “veleno per topi”,
“ammoniaca feto” o ancora “quanto veleno per topi necessario per
uccidere una persona”.
Il 5 febbraio, appena tre mesi prima della
consumazione del delitto, acquista online del cloroformio, sotto falso nome. Aveva
creato un profilo di acquisto con il nome Andrea Valdi. La bottiglietta di
cloroformio, sequestrata nella cantina di Impagnatiello, è parte del materiale
probatorio necessario per indagare e confermare le accuse nei suoi confronti.
Se nella fase precedente alla consumazione del delitto appaiono sufficientemente chiari gli elementi configurati l’intenzione di commettere il delitto, particolarmente dure appaiono poi le modalità di esecuzione del delitto stesso, seguito dagli atti di vilipendio e di occultamento del cadavere.
Infatti, dal punto di vista criminologico e penale, i reati contestati dall'accusa sono, oltre naturalmente all'omicidio, anche il vilipendio e l'occultamento di cadavere.
Art. 410 CP: Vilipendio di cadavere
Chiunque commette atti di vilipendio
sopra un cadavere o sulle sue ceneri è punito con la reclusione da uno a tre
anni.
Se il colpevole deturpa o mutila il
cadavere, o commette, comunque, su questo atti di brutalità o di oscenità, è
punito con la reclusione da tre a sei anni.
Se da un lato il nostro
ordinamento punisce chi determina la morte altrui, difendendo, dunque, la vita,
non meno interesse suscita, da parte del nostro ordinamento penale, la
tutela del cadavere.
Su questo appare importantissimo l’inciso
di una nota sentenza cui si basa l’attuale letteratura giudiziaria - la
sentenza della Corte di Cassazione Penale, 21 febbraio 2003, n.17050, per cui:
“Il reato di vilipendio di cadavere è
integrato da qualunque manipolazione di resti umani che consista in
comportamenti idonei ad offendere il sentimento di pietà verso i defunti, non
resi necessari da prescrizioni tecniche dettate dal tipo di intervento o
addirittura vietati, con la consapevolezza del loro carattere ultroneo o
incompatibile con le prescrizioni proprie del tipo di attività svolto. Infatti,
secondo consolidato indirizzo interpretativo della giurisprudenza di
legittimità che, seppur risalente nel tempo, non è stato mai contrastato da
pronunce di segno opposto, il dolo del reato di cui all’art. 410 c.p. è
generico, di talché l’elemento psicologico di detto delitto è integrato dalla
consapevolezza del fatto che, come nel caso di specie, l’azione posta in essere
non è conforme alle prescrizioni o esigenze tecniche afferenti al tipo attività
espletata ed è idonea ad offendere il sentimento di pietà verso i defunti”.
Il vilipendio è un oltraggio al
corpo, elemento con il quale si entra in comunicazione con il mondo esterno
e attraverso il quale si vivono esperienze, codificandone gli stimoli.
Il corpo - un cadavere in particolare - è
rispettato al di là del valore spirituale di cui può essere carico ogni credo
(religioso o filosofico); quella della tutela del cadavere è un concetto
giuridico, appunto, prima ancora che spirituale o religioso.
In nessuna cultura il cadavere è considerato
una irrilevante spoglia a causa del sopraggiungere della morte. Riti funebri,
cure dei corpi e sepolture caratteristiche hanno da sempre accompagnato
l’evento morte in ogni differente scenario culturale.
Dunque, la tutela di un corpo morto e
della sua ambita assegnazione alla pace di una sepoltura serena e indisturbata
rappresentano tuttora quei valori giuridicamente protetti che non possono
sottomettersi a qualsivoglia pratica legata a retaggi culturali distanti dalle
civiltà legalizzate.
412 c.p.: Chiunque occulta un cadavere,
o una parte di esso, ovvero ne nasconde le ceneri, è punito con la reclusione
fino a tre anni.
Caratteristica primaria del delitto in
questione è l’assunto che l’occultamento è teso al momentaneo celamento del
cadavere, con la coscienza che il cadavere stesso sarà, prima o poi, rinvenuto.
Obiettivo di tale disposizione normativa
sta nella necessità di proteggere l'integrità dei cadaveri (o delle ceneri) ed
è da situarsi nel novero dei delitti dei delitti contro il sentimento religioso
e contro la pietà dei defunti.
NB: immagine di copertina, l'opera della graffitista brasiliana Panmela Castro.
Dal mio blog:
- sul femminicidio, "O mia o di nessuno, il sesso inutile" qui ;
- "la semantica del femminicidio", qui;
- "overkilling e fenomeni predatori", qui
Questa vicenda fa riflettere su come la mente umana possa essere oserei dire diabolica. L accusato non voleva né lei e ne il bambino ha tentato di avvelenarla . Recentemente è stato fatto vedere in una nota trasmissione TV il video dove si rivelava il sesso del nascituro ed era apparentemente tutto normale l avvelenamento era già in corso e l uccisione premeditata. Spero che venga data una condanna esempio non ci sono scusanti ed alternative. Cosa può passare nella mente di una persona per fare tutto questo?
RispondiEliminaBuongiorno. Purtroppo non siamo in possesso degli strumenti necessari per dare definizioni così nette, finché non sarà la Magistratura a fornirle, all'esito del processo.
RispondiEliminaIl concetto di premeditazione è un concetto molto elaborato e non c’è, nello stesso codice penale, una vera definizione dello stesso. Pertanto, tale concetto deriva da studi e teorie dottrinali e da analisi delle sentenze della Suprema Corte di Cassazione.
L’aver acquistato veleno per topi e, soprattutto, averlo somministrato, non è di per sé sufficiente a configurare ipotesi di omicidio premeditato. Tant’è che, di fatto, l’avvelenamento non ha determinato la morte di Giulia.
La premeditazione non va confusa con la preordinazione, che consiste nel reperimento degli strumenti minimi necessari per dare esecuzione al delitto (si pensi al procurarsi delle armi…), ma da sola non è sufficiente né idonea a configurare ipotesi di delitto premeditato. Almeno, nel caso di omicidio.
La pena - poi - dev'essere giusta, meritata ed equilibrata: la funzione della pena è molteplice e anche in tale ambito ci sono studi ed anni di riflessioni giuridiche e filosofiche che, tuttavia, non contemplano l’esemplarità.
Nella mente di una persona può "passare" anche questo, anche la voglia ed il desiderio di uccidere una persona cara. Aspettiamo gli esiti processuali intanto. Saluti