Il concetto di Genocidio dal punto di vista criminologico: il peso della storia e l'onere del presente



Il termine genocidio evoca immediatamente immagini di orrori storici, dibattiti politici e complesse analisi economiche.

Tuttavia, per comprendere appieno questo fenomeno, è necessario superare la sua consueta rappresentazione sociopolitica per analizzarlo attraverso una lente diversa, quella criminologica.

La criminologia, pur riconoscendo l'influenza di fattori sociali e politici, sposta l'attenzione dalla macro-scala delle nazioni e dei conflitti al comportamento criminale che sta alla base del genocidio.

Invece di concentrarsi sulle cause globali o sulle dinamiche di potere, si interroga su come (e perché) specifici individui e gruppi commettono, partecipano o facilitano lo sterminio di un'altra comunità.

Dal punto di vista della criminologia, esso si configura come il crimine dei crimini, un atto il cui obiettivo risiede nella totale distruzione di un gruppo, non solo fisicamente, ma nella sua essenza.

Il giurista Raphael Lemkin, che coniò il termine nel 1944, lo definì come "la distruzione di una nazione o di un gruppo etnico", specificando che non si riferiva solo all'annientamento fisico, ma anche alla disintegrazione del sistema politico, sociale e culturale di un popolo.

Pur riconoscendo il contesto storico e politico, ci si intende qui focalizzare sulla criminalità di massa, analizzando i processi che portano individui e collettività a commettere atrocità. Come affermava la filosofa Hannah Arendt, nel suo studio sulla "banalità del male", gli esecutori di tali crimini non sono necessariamente mostri, ma spesso persone comuni che, in determinate circostanze, si rendono capaci di atti inimmaginabili.

Questo ci spinge a riflettere sui meccanismi di deumanizzazione, obbedienza cieca e disimpegno morale che si attivano in contesti di conflitto estremo.

Il concetto di genocidio non è relegato ai libri di storia: la sua attualità è drammaticamente evidente. L'accusa di genocidio sollevata contro Israele per le sue azioni a Gaza (… pur non essendo ancora stata provata in modo definitivo o espressamente sancita…), ci obbliga a una riflessione profonda.

La distinzione dottrinale tra crimini di guerra (atti che violano le leggi internazionali ma non mirano all'annientamento di un gruppo) e il genocidio (il cui obiettivo è la distruzione di un gruppo) è fondamentale per analizzare la situazione.

La questione non è se si verifichino atrocità, ma se l'intento sia quello di annientare i palestinesi come gruppo, in tutto o in parte.

Un'analisi dottrinale e critica, lontana dalle narrative politico-economiche, è l'unico strumento per avvicinarsi alla verità e onorare le vittime.

La prospettiva criminologica, per dare una risposta concreta al genocidio/crimine, deve analizzare gli atti criminali e il contesto in cui si sviluppano, distinguendoli dalle “semplici” (o meglio dirette) tragiche conseguenze dei conflitti.

Questo approccio si concentra sui processi di criminalizzazione e sulla responsabilità individuale e collettiva.

Il genocidio non è un evento spontaneo. È un crimine orchestrato che segue una catena di comando, dai decisori politici fino agli esecutori sul campo.

La criminologia indaga come i leader formulano l'intenzione di distruggere un gruppo e come tale intento si traduce in ordini e azioni concrete da parte dei soldati, dei burocrati ma anche dei civili.

In questo senso, la dottrina della "responsabilità di comando" è cruciale, perché ritiene i superiori responsabili dei crimini commessi dai loro subordinati se avevano conoscenza, o avrebbero dovuto avere, degli atti criminali e non sono intervenuti per fermarli.

La differenza tra crimini di guerra e genocidio risiede nell'intento specifico di distruggere, in tutto o in parte, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso. Questo concetto, noto come dolus specialis, è l'elemento più difficile da provare. 

La criminologia esamina non solo le dichiarazioni esplicite dei leader, ma anche il comportamento criminale sistematico che dimostra un tale intento.

Ad esempio, la distruzione mirata delle infrastrutture civili, l'assedio e il blocco degli aiuti umanitari, la retorica deumanizzante e la violenza indiscriminata possono essere (...sono…) indizi di un piano di sterminio (c.d. intento genocidiario).

Utilizzare questo approccio criminologico per studiare gli eventi di Gaza significa analizzare se le azioni di Israele, pur commesse nel contesto di un conflitto, rivelino l'intento specifico di distruggere la popolazione palestinese come gruppo.

La Corte Internazionale di Giustizia sta valutando proprio questo aspetto, esaminando non solo il numero delle vittime, ma anche l'entità della distruzione, le dichiarazioni dei leader israeliani e le politiche implementate che possono essere interpretate come una strategia per rendere la vita impossibile a Gaza. L'analisi criminologica, pur non emettendo un verdetto legale, offre un quadro per interpretare la realtà, distinguendo la semplice violenza dalla volontà di annientamento.

Questo approccio è stato utilizzato in precedenza, ad esempio, per i crimini commessi in Bosnia-Erzegovina e in Ruanda, dove la criminologia ha aiutato a identificare e comprendere i meccanismi che hanno portato a questi orrori.

Le ricerche criminologiche sul genocidio, spesso finanziate da fondi universitari o da organizzazioni non governative (ONG) come Amnesty International, Human Rights Watch e le Commissioni d'inchiesta dell'ONU, si concentrano sulla responsabilità penale individuale. Si scende dal piano delle generalizzazioni sulla "guerra" per focalizzarsi sui singoli crimini commessi e su chi li ha perpetrati. Questo non significa che la responsabilità statale sia esclusa, ma che l'analisi criminologica ne sviscera i meccanismi a livello di individui e gruppi.

La criminologia del genocidio non si ferma alla catena di comando, ma studia i processi di "violentizzazione" che trasformano persone comuni in esecutori di atrocità.

Si analizzano come la propaganda, la deumanizzazione dell'altro e l'obbedienza all'autorità contribuiscano a far crollare le barriere morali.

Tali studi, per esempio, hanno ampiamente documentato le dinamiche del genocidio in Ruanda, dove la radio fu uno strumento fondamentale per incitare all'odio e alla violenza di massa.

La prova dell'intento genocidiario nel contesto di Gaza

Nel caso di Gaza, l'analisi criminologica e le indagini legali stanno cercando di raccogliere prove concrete che dimostrino l'intenzione specifica di Israele di distruggere la popolazione palestinese.

Un rapporto della Commissione d'inchiesta ONU, per esempio, ha accusato Israele di genocidio basandosi su "migliaia di informazioni", tra cui immagini satellitari, prove digitali e testimonianze di medici e civili.

Anche la Corte Internazionale di Giustizia sta esaminando le prove fornite dal Sudafrica e da altre nazioni, che includono non solo il bilancio delle vittime e la distruzione delle infrastrutture, ma anche le dichiarazioni di funzionari israeliani che potrebbero essere interpretate come espressione di un intento genocida.

La criminologia, quindi, non si limita a un dibattito teorico, ma fornisce strumenti per identificare e perseguire i crimini, contribuendo a una comprensione più profonda e basata sull'evidenza di uno dei fenomeni più complessi e orribili della storia umana.

Al centro dell'orrore di ogni genocidio c'è la sistematica distruzione di vite innocenti, un dolore che si manifesta nel volto di ogni bambino scomparso e nella tragica fine di ogni civile.

La loro morte non è un danno collaterale, ma il cuore stesso del crimine, poiché l'intento genocidiario mira a cancellare il futuro di un popolo, estirpando la sua radice più vulnerabile.

Il peso della storia e l'onere del presente

L'analisi criminologica del genocidio a Gaza deve essere condotta con la massima lucidità, riconoscendo il peso della storia senza cadere nelle trappole del presente.

Il genocidio del popolo ebraico, l'Olocausto, è stato uno degli eventi più orribili della storia umana, e fu un crimine perpetrato contro un gruppo etnico-religioso. Questa memoria storica, così dolorosa e profondamente radicata nella coscienza collettiva, deve servire da monito, non da giustificazione. 

L'identità ebraica e le azioni dello stato di Israele sono due entità distinte: confondere il popolo ebraico, che in molti casi si oppone alle politiche israeliane, con il governo israeliano e le sue azioni a Gaza, non solo è scorretto, ma rischia di minare la stessa lotta contro l'antisemitismo.

La lezione del passato è chiara: la criminalità di massa deve essere chiamata per nome, indipendentemente da chi la commette, perché la giustizia trascende da qual si voglia bandiera.

Le parole del poeta Paul Celan risuonano con forza. Nel suo celebre poema "Fuga di morte" egli scrisse:

«Nero latte dell'alba lo beviamo la sera lo beviamo a mezzogiorno e la notte / lo beviamo e lo beviamo».  Questa poesia, simbolo dell'Olocausto, evoca un'atrocità così profonda e quotidiana da diventare nutrimento, una testimonianza letteraria della distruzione totale. La sua potenza non è solo descrittiva, ma ammonitrice.

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