È davvero necessario avere sempre un’opinione?
Una
guerra si combatte da qualche parte, tra “i grandi” e i ragazzini sono lasciati
soli sull’isola, abbandonati a se stessi, ma con delle regole.
Introduzione a “Il signore delle mosche” di William
Golding.
Il signore delle mosche (titolo originale Lord of the Flies) - ed. italiana 1958
Con il Signore delle mosche (evocazione biblica di Belzebù) è forse
più semplice approcciarsi ad una vicenda che sottolinea il conflitto tra un
mondo animato dalla legge ed un mondo che ne risulta totalmente privo. Un 15
enne è morto a seguito dei colpi di arma da fuoco sferrati da un 23 enne – carabiniere, intento a difendersi da un
tentativo di rapina a mano armata. Questa la notizia giunta dai principali
giornali di oggi. Nell’immagine comune, un 15 enne è poco più che un bambino, un
adolescente, un piccolo uomo. Nella trasposizione diretta, Questo 15 enne,
rappresenta un rapinatore, armato, pronto ad uccidere per portare a termine il
proprio intento criminale. Rappresenta quel poco
più che bambino, quell’adolescente,
quel piccolo uomo la cui “innocenza”
viene sacrificata in nome di un istinto di sopravvivenza necessario in un’isola
animata dai ruggiti di leoni affamati. Nel
libro, alcuni adolescenti naufragano in un’isola deserta, nella quale l’assenza
dell’adulto fa sorgere la necessità di organizzare, da soli, la propria
convivenza. I protagonisti della narrazione sono perfettamente in grado di
distinguere il bene dal male. Conoscono e percepiscono il valore delle regole. E,
soprattutto, possono scegliere. Possono scegliere se aderire al gruppo che si è
dettato delle regole; o scegliere se aderire al gruppo di selvaggi, che le
regole – pur conoscendole – non le condividono, anzi. Le infrangono per
ottenere quanto desiderato. I precedenti non mancano e le
storie, simili, sono sempre quelle di un contesto sociale destrutturato, nel
quale da un lato un minore (probabile autore
di reato), perde la vita; e dall’altro un militare che spara per difendere
sé stesso da una (probabile) rapina. Ed
è proprio questo pensiero ipotetico, questa probabilità che deve essere oggetto
di discussione. Innanzitutto perché quando i fattoi non sono ancora ben noti,
non c’è una realtà processuale, non c’è una realtà testimoniale attendibile,
non si dovrebbe esprimere la propria opinione. La criminologia, s’è detto, non è
un’opinione. È una scienza che si fonda su anni di studio ed insegna, in
primis, a non parlare mai di quanto non si conosce. E questo dovrebbe essere l’assunto
generale rivolto a tutti. Non parliamo di quanto non conosciamo e, finché, non
sono noti fatti ufficiali. Di questa storia non può esserci, ancora, un’opinione.
Non si può dare per certa nessuna verità. E l’idea che qualcuno abbia interesse
a far sì che l’opinione pubblica possa schierarsi a favore di uno e contro un
altro, fa rabbrividire. Senza contare quanti, a distanza di poche ore hanno già
aderito a movimenti (virtuali) del tipo #iostocolcarabiniere
#iostocolquindicenne.
#iostozitto,
sarebbe il proposito migliore. Perché chi parla, ora, lo fa proprio perché anch'esso destrutturato,
dai valori, dalla cultura e da quell’intelligenza, minima, necessaria per
definirsi umani. Bisognerebbe imparare a rimanere zitti, perché, sicuramente,
il proposito dell’art. 21 della Costituzione, laddove viene riconosciuta la
libertà di espressione del proprio pensiero, non era sicuramente quello di
permettere di sfogare la propria ignoranza, a nocumento del prossimo.
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