"Death to Pigs, Red Apple & Spaghetti Western":c’era una volta a … Hollywood

Quentin Tarantino è ossessivo. Ossessivo nel riproporre i suoi stereotipi narrativi e cinematografici e, per farlo, questa volta, descrive una Hollywood targata 1969. E sullo sfondo delle ultime scintille gloriose di un famoso attore hollywoodiano (Rick Dalton - interpretato da Leonardo Di Caprio) e del suo stuntman ed assistente tuttofare (Cliff Booth - interpretato da Brad Pitt), si intrecciano le storie della comunità hippie di Charles Manson, mandante di sanguinari delitti, tra i quali, il più noto, quello dell’attrice Sharon Tate, moglie del regista Roman Polanski. Tuttavia, l’aspetto criminale di quest’ultimo non è reso in maniera dettagliata e realmente affine alla realtà, anzi. La comunità di hippie è volutamente ridicolizzata ed alla stessa, Quentin Tarantino, per bocca di Rick Dalton, rivolge epiteti volgari e ingiuriosi. Ma notare bene: la sua non vuole essere un attacco alle comunità hippie degli anni ’70, tutt’altro: è un voler dispregiare la realtà “hippie” di Manson, nella sua originaria e cruenta concezione. Un Manson manipolatore, che strumentalizza l’altrui volontà, inducendo, nei suoi adepti, quella fermezza criminale che li portò ad  entrare nella villa dell’attore Roman Polanski, con il comando uccidere chiunque si trovasse all’interno. Nella realtà l’attrice Sharon Tate, moglie del famoso regista all’ottavo mese di gravidanza e quattro suoi amici, vennero uccisi brutalmente, per lo più con colpi di arma da taglio. Ma Tarantino, ridisegna la “Cielo drive 10050” (la serie criminale di Manson trae origine dal nome dell’indirizzo della villa di Los Angeles in cui furono consumati i cinque delitti attuativi, appunto, del disegno di Charles Manson ed effettuati dai membri della sua Family).
!!! ALLERT SPOILER !!! 
Quentin Tarantino sembra quasi abbia voluto restituire  giustizia  a questa storia di massacro. E gioca con un finale fortemente votato alla rettitudine. Gli Hippie non entrano nella villa di Roman Polanski, bensì, in quella di  Rick Dalton/Di Caprio. Ed ecco l’aspetto retributivo: oppressi e completamente soggiogati dallo stuntman/tuttofare Cliff - il quale riesce a difendere proprietà e proprietari, anche grazie all’intervento del muscolosissimo pittbull che, all’impercettibile segno di comando del suo padrone, letteralmente sbrana due dei tre hippie entrati, armati, in casa dell’attore. Unico vero momento violento, fedele alla narrazione magnetica del regista. Il resto è un turbinio di certezze, omaggi ed autocitazioni: scatolame pop art, confezioni di cereali, inquadrature feticiste di piedi femminili, ambientazioni western e le oramai  onnipresenti sigarette Red Apple. Quello di Tarantino è - oramai - un profondo esercizio stilistico adoperato non più per stupire lo spettatore, ma quasi per rassicurarlo con una storia, in fondo, d’amore. Per il cinema, per il mito e, soprattutto, per Sharon Tate. Tuttavia, la storia criminale di Charles Manson è decisamente diversa e, forse, per capire a pieno il film di Tarantino - C’era una volta a … Hollywood, è necessario comprendere le vicende  della figura più iconica di tutta la storia criminale mondiale. Quella di Charles Manson è una storia lunga almeno quanto gli anni di prigione scontati dall’uomo. Manipolatore e organizzatore di crimini sanguinari e particolarmente efferati, viene condannato al carcere a vita per essere stato il mandante di diversi omicidi, ma mai, il diretto e materiale esecutore. Capo spirituale di una comunità hippie, detta, appunto, la Famiglia (The Family), riuscì in breve tempo a trasformarla in una vera e propria setta. Perfetto manipolatore, studioso di ipnosi, di psicologia, di tecniche persuasive e, soprattutto di esoterismo, utilizzò il suo carisma per compiere al meglio il suo disegno criminale: far uccidere brutalmente degli innocenti, in nome di un fantomatico complotto. Il complotto cui alludeva era quello inerente un annoso, infondato ed ipotetico conflitto tra bianchi e neri: usava spesso l’epiteto “Helter Skelter”, dal titolo di una famosa canzone dei Beattles che, per Manson, conteneva un forte messaggio razziale. Proprio in questo stava il discrimen tra una “normale comunità hippie” degli anni 70 e la Manson Family: in quest’ultima, l’odio razziale e l’idea del complotto della comunità nera contro quella bianca erano le idee preminenti. Nel 1968 Manson comandò ai suoi adepti di entrare nella villa dell’attore Roman Polanski e di uccidere chiunque trovassero all’interno. L’attrice Sharon Tate, moglie del famoso regista all’ottavo mese di gravidanza e quattro suoi amici, vennero uccisi brutalmente, per lo più con colpi di arma da taglio. Il giorno seguente ordinò alla setta un ulteriore comando omicida, ai danni di Leno LaBianca e  di sua moglie Rosemary, uccisi a forchettate in testa e finiti, poi, trafitti con un forcone tridente nello sterno. Su una parete all’interno della villa venne trovata la scritta "Death to Pigs" (Morte ai maiali) effettuata col sangue delle vittime e sul frigorifero in cucina furono tracciate le parole Healter Skelter. L’intento di Manson, per sua confessione, era quello di voler attribuire gli omicidi alla comunità afroamericana di Los Angeles. Intento poi disatteso dai membri della stessa Family, che, in sede di indagini e interrogatori, hanno attribuito a Manson la paternità non solo dell’idea omicida ma altresì l’indicazione delle modalità esecutive. Quasi totalmente plagiati dal loro guru spirituale, sono stati esecutori formali di un disegno criminale progettato ad arte dall’uomo. Caratterizzato da una acuta bizzarria, violento e manipolatorio, Charles Manson è considerato una figura iconica della storia criminale mondiale e, anche oggi a tre anni dalla sua morte, è prova inequivocabile del perverso fascino esercitato dal Male sull'Uomo.

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