DELITTI E ISTITUZIONI COSTITUZIONALI

Non si è mai sentito parlare dei principi e dei valori costituzionali come in questi giorni.
L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro” è sulla bocca di tutti anche e, soprattutto, sulla bocca di chi non è cosciente che l’articolo 1 della Carta Costituzionale consta, altresì, di un secondo comma, ove si afferma che “la sovranità appartiene al popolo che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione”.
Non è un dettaglio da poco. Il popolo è sovrano, certo, deve esprimere il proprio consenso ed il proprio volere nel momento in cui deve farlo. 
Ma non può disattendere le forme ed i limiti di esercizio della propria sovranità.
Usciti dalla Monarchia concomitante ad una dittatura, l’esigenza preminente dell’Assemblea Costituente era quella di riconoscere e garantire la c.d. RES PUBLICA, la Repubblica, cioè, un’entità che apparteneva a tutti. 
E che non fosse espressione del volere di un solo soggetto, sovrano o dittatore alla cui monarchia o alla cui dittatura il popolo veniva assoggettato.
Sulla forma Repubblicana dello Stato, la Costituzione è stata particolarmente garantista, tant’ è che all’art. 139 Cost. è stabilito che “La forma repubblicana non può essere oggetto di revisione costituzionale”.
Il sistema in cui il popolo è sovrano, tuttavia, è gestito da coloro che, questo popolo sovrano, lo rappresentano. 
Il popolo effettua direttamente o indirettamente le proprie scelte: di qui, l’idea di Sovrano come individualità che è Superiorem non recognoscens, trova alcuni limiti: lo Stato, infatti, al fine di tutelare esigenze ed interessi dei propri cittadini, esercita direttamente (tramite propri organi dell’apparato centrale) o indirettamente (tramite enti autonomi quali Regioni o Province e Comuni), le proprie funzioni.
Ora, le Repubbliche hanno al proprio vertice un Presidente. Il presidente della Repubblica, appunto.
"L’art. 87 1° comma della Costituzione afferma che “Il Presidente della Repubblica è il capo dello Stato e rappresenta l’unità nazionale.”
 Egli deve esercitare un potere neutro, imparziale e, soprattutto, apolitico al fine di svolgere al meglio le proprie funzioni di controllo e di garanzia sugli organi d’indirizzo politico.
Pertanto si caratterizza per essere un organo:
  • monocratico
  • super partes
  • garante della Costituzione
  • apolitico, nel senso che non può obbligare ad una propria linea politica personale, ma la sua è una rappresentanza di tipo, innanzitutto, morale, espressione dell’autorevolezza e del prestigio inerente alla sua figura.
Il mandato presidenziale termina in via ordinaria allo scadere dei 7 anni dal mandato. Alla cessazione della carica il Presidente della Repubblica diviene automaticamente senatore a vita (salvo rinuncia).
  • La cessazione della carica di Presidente della Repubblica può avvenire, oltre che per naturale scadenza del mandato, per le seguenti altre cause:
  • morte
  • dimissioni
  • impedimento permanente
  • decadenza (ad esempio per venir meno di uno dei requisiti necessari alla sua eleggibilità, come ad esempio la perdita della cittadinanza italiana…)
  • destituzione, a seguito della condanna per alto tradimento o attentato alla costituzione.
È Alto tradimento ogni condotta dolosa che offende la personalità interna ed internazionale dello Stato e che rappresenta una violazione del dovere di fedeltà della Repubblica.
È un Attentato alla Costituzione ogni condotta dolosa diretta a violare la Costituzione sovvertendo le istituzioni costituzionali.
L’art. 283 del Codice Penale definisce tale condotta come: “un fatto diretto a mutare la Costituzione dello Stato o la forma di governo con mezzi non consentiti dall’ordinamento costituzionale dello Stato”.
L’azione penale contro il Presidente della Repubblica per i reati di alto tradimento e attentato alla Costituzione è esercitata dal Parlamento che delibera sulla messa in stato d’accusa in seduta comune, maggioranza assoluta dei suoi membri; l’organo preposto a giudicare l’accusa mossa è la Corte Costituzionale.
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La Formazione del Governo
La formazione del Governo è il procedimento che si articola in una serie di atti volti alla formazione di un atto finale (la nomina del Governo).
Tale procedimento si attiva di fronte ad un Governo dimissionario e tali dimissioni vengono accolte dal Presidente della Repubblica, per cui si rende necessario nominarne uno nuovo.
La Carta Costituzionale è estremamente sintetica in proposito e si limita ad affermare che “Il Presidente della Repubblica, nomina il Presidente del Consiglio dei Ministri e, su proposta di quest’ultimo, i Ministri” (art. 92 2° comma).
La formazione del Governo attiene pertanto a diverse disposizioni consuetudinarie, non scritte e volte a garantire una sorta di potestà discrezionale in capo al Presidente della Repubblica.
Tale discrezionalità emerge, soprattutto, in sede di consultazioni, ossia quelle attività tese ad individuare la personalità sulla quale far confluire il gradimento di una prossima maggioranza di Governo.
I soggetti consultati comunicano al Presidente della Repubblica il proprio parere sulla strategie politiche attinenti alla formazione del nuovo Governo; una volta concluse le consultazioni, il Capo dello Stato avrà elementi sufficienti a determinare il conferimento dell’incarico di Governo.
L’auspicio è che la persona individuata idonea a formare il Governo goda della fiducia delle due Camere, sulla base delle coalizioni precedentemente espresse.
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Degne di attenzione sono, altresì, le ipotesi delittuose configurabili contro la personalità dello Stato, cui il Presidente della Repubblica ne rappresenta il presidio costituzionale istituzionale.
Ecco, nello specifico, gli articoli del codice penale che riguardano tali delitti.

DELITTI CONTRO LA PERSONALITA’ DELLO STATO


Capo II


Dei delitti contro la personalità interna dello Stato
Art. 276.


Attentato contro il presidente della Repubblica.


Chiunque attenta alla vita, alla incolumità o alla libertà personale del Presidente della Repubblica, è punito con l'ergastolo.





Art. 277.


Offesa alla libertà del presidente della Repubblica.


Chiunque, fuori dei casi preveduti dall'articolo precedente, attenta alla libertà del presidente della Repubblica, è punito con la reclusione da cinque a quindici anni.



Art. 278.


Offese all'onore o al prestigio del presidente della Repubblica.


Chiunque offende l'onore o il prestigio del presidente della Repubblica, è punito con la reclusione da uno a cinque anni.
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Appare corretto interrogarsi sul comportamento di quanti insinuano in capo al Capo dello Stato un atteggiamento contrario al proprio dovere di fedeltà alla Carta Costituzionale e all’Ufficio che riveste.
In specie, le accuse di Alto tradimento e di Attentato alla Costituzione, possono configurarsi come una sorta di offesa alla libertà del presidente della Repubblica e dunque, configurare le ipotesi di cui all’art. 277 c.p. ed eventualmente anche quelle di cui all’art. 278 c.p.?
Senza entrare nel merito di discussioni politiche, in un’ottica penale, sarebbe bene accertare ogni tipo di responsabilità in capo a chi formula (anche ipotetiche) accuse nei confronti della più alta carica dello Stato, soprattutto laddove il Capo dello Stato abbia esercitato correttamente e diligentemente i propri poteri e le proprie facoltà.
Un approfondimento a parte, poi, merita il discorso inerente a quanti, tramite messaggi nei principali social network, hanno accusato ed offeso gratuitamente ed in modo oltraggioso, l’onore e il prestigio del Presidente.
In alcuni casi si è proceduto alle opportune indagini onde configurarne i margini della responsabilità penale e onde applicarne le relative (ed eventuali) pene.
L’uso sconsiderato delle parole che fluttuano liberamente nei social network deve trovare un freno e, laddove non è ovviamente sufficiente una moderazione dettata da un comune senso morale (spiacevolmente assente in molte/troppe persone), che intervengano (immediatamente ed aspramente) organi di controllo e di giustizia per mitigarne tutti quegli effetti eccessivamente lesivi.
Libertà di espressione e democrazia sono parametri da raggiungere in maniera consapevole e limpida, senza arrivare ad assottigliare (ed offendere) i valori istituzionali della Repubblica.

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