VILIPENDIO E OCCULTAMENTO DI CADAVERE. UNA MORTE INIQUA.


È vero, la morte per mano di altri, è sempre iniqua e si insinua in un contesto di proiezione di un male assoluto ed apparentemente incomprensibile.
Tuttavia, vi possono essere situazioni, condizioni e stati emotivi che rendono differenti anche gli assassinii.
Si può uccidere sotto un impulso irrefrenabile, improvviso o sotto l’effetto di sostanze psicotrope o stupefacenti. Si può desiderare la morte altrui seguendo un progetto prestabilito. Si può essere incapaci di scernere il bene dal male.
Ma quando la vittima di un omicidio viene dissanguata, tagliata a pezzi, nascosta in una valigia e gettata come immondizia in un campo, allora, la morte, già di per sé ingiusta, diventa proprio iniqua.
È ciò che la letteratura medico legale dei primi del 900 definiva “lo strazio delle carni”.
Una violenza brutale, assai lontana dai livelli di umanità, e soprattutto di civiltà, di cui l’essere umano del 2018 dovrebbe fregiarsi.
In Italia, a Macerata, il corpo di una ragazza di 18 anni è stato rinvenuto in pezzi, all’interno di due trolley abbandonati nella frazione di Casette Verdini nel comune di Pollenza, Macerata.
Si tratta di Pamela Mastropietro, romana a Macerata perché internata in una clinica di recupero per tossicodipendenti. 
Questo sappiamo di lei, che era una giovane con gravi problemi di dipendenza. Era giovane e, pertanto, probabilmente in tempo per superare quelle ferite che una dipendenza così grave possono cagionare. In tempo per essere aiutata e sostenuta.
Non v’è, naturalmente, ancora verità processuale in merito, quindi nulla si può dire.
Tuttavia questo caso rientra nel novero di quei delitti con protagonista una donna, vittima ancora una volta, della mano omicida di un uomo. È questo il punto su cui soffermarsi.
E poco conta anche la nazionalità di chi commette un simile abominio. Non importa il colore, non importa il credo religioso né politico.
Ciò che rilevano, qui, sono la vittima (con la storia che si porta dietro tramite il proprio vissuto personale), il suo corpo massacrato, straziato ed occultato, e l’espressione di un accanimento brutale e perpetrato inutilmente verso un corpo indifeso ed inerme.
Punti di riflessione sono posti soprattutto dall’assunto che, a compiere il fatto, con molta probabilità, siano state più persone.
Come detto, non c’è realtà processuale, ancora, sul caso di Pamela Mastropietro né si conoscono ancora autori diversi da meri indagati e, legato ad essi, vi è poi un ulteriore elemento inerente alla nazionalità dei due (o tre indagati).
Sono molte le donne uccise dal coniuge, dal fidanzato, da conoscenti, tutti perfettamente italiani; nel caso Mastropietro il discrimen sta forse nella nazionalità (nigeriana) degli indagati?
Un delitto commesso da stranieri fa scattare un terribile meccanismo raziale per il quale ci si accanisce ancor di più, col rischio di strumentalizzare tale morte a fini propagandistici.
E quel bagaglio, quello che viene definito vissuto personale, esperienza di vita, background culturale che sfocia in un flebile confine di circostanze manipolate dalla letteratura e dalla cronaca giudiziaria.
Sarebbe utopico, forse, censire ogni individuo onde individuarne quelli pericolosi e, ipoteticamente isolarli per tutelare la società e preservarne le vite, i valori e gli aspetti sociali ed economici.
Utopico ma forse non del tutto impossibile. Ci vuole impegno da parte della società e da parte delle istituzioni.
Le istituzioni devono essere presenti, devono indagare, interagire con le persone e capire le esigenze (e le paure) sociali; intervenire laddove l’insicurezza sociale echeggia ai margini di una società troppo spesso abbandonata a sé stessa.
Intervenire anche ai fini dell’integrazione culturale di chi, dal proprio background socio-cultura, estrapola ideologie, costumi, credenze, dottrine e superstizioni così lontane da un mondo che vuole dirsi civile, ma che talvolta è sommerso da ataviche pulsioni così grette e violente, che ne rendono volgare e grottesca persino la narrazione.
Lo sono, ad esempio, i rituali del cannibalismo rituale legato ad alcuni protagonisti della organizzazioni criminale africane per le quali l'integrazione risulta essere assai improbabile.
Ciò su cui preme focalizzare l’obiettivo è il tema della violenza, ennesima, nei confronti di una donna e di come ogni atteggiamento di aggressività nei confronti delle donne sia espressione, in primis, di apprendimento sociale.
Una violenza espressione di un retaggio culturale il cui abbandono, già in Italia, è di lenta e faticosa eliminazione laddove in altre realtà sociali è tollerata, se non, addirittura, legalizzata.
C’è tutta una questione, poi, di degrado sociale e culturale degli ambienti legati al traffico, allo spaccio ed al consumo di sostanze stupefacenti. E di come vi siano persone che, schiave assolute delle proprie dipendenze, arrivano a condividere il proprio tempo ed il proprio spazio con persone i cui contatti con la vita altrui sono diretti solamente al proprio tornaconto.
Ambienti che, agli occhi di chi vive nella calma di una vita serena, fanno paura. Logicamente.
Tuttavia, qui, a far paura non sono tanto i comportamenti della vittima precedenti alla sua morte quanto, piuttosto, le modalità di determinazione della morte, gli atti di vilipendio e di occultamento sul suo cadavere.
Indagare, dunque, tra le abitudini della vittima per capire atteggiamenti e comportamenti precedenti alla morte, può sicuramente essere utile a comprendere le cause che hanno determinato la sua morte ma non saranno sicuramente una scusa attenuante le responsabilità di tanta brutalità. Della morte iniqua cui è stata destinata.
Intanto dal punto di vista criminologico e penale, i reati contestati dall’accusa sono, oltre naturalmente all’omicidio, anche vilipendio e occultamento di cadavere.
 È bene soffermarsi sul reato di vilipendio e di occultamento di cadavere.
Art. 410 CP: Vilipendio di cadavere
Chiunque commette atti di vilipendio sopra un cadavere o sulle sue ceneri è punito con la reclusione da uno a tre anni.
Se il colpevole deturpa o mutila il cadavere, o commette, comunque, su questo atti di brutalità o di oscenità, è punito con la reclusione da tre a sei anni.
E si, perché se da un lato il nostro ordinamento punisce chi determina la morte altrui, difendendo, dunque, la vita, non meno interesse suscita, da parte del nostro ordinamento penale, la tutela del cadavere.
Su questo, importantissimo l’inciso di una nota sentenza cui si basa l’attuale letteratura giudiziaria, la sentenza della Corte di Cassazione – Penale, Sentenza 21 febbraio 2003, n.17050, per cui:
 “Il reato di vilipendio di cadavere è integrato da qualunque manipolazione di resti umani che consista in comportamenti idonei ad offendere il sentimento di pietà verso i defunti, non resi necessari da prescrizioni tecniche dettate dal tipo di intervento o addirittura vietati, con la consapevolezza del loro carattere ultroneo o incompatibile con le prescrizioni proprie del tipo di attività svolto. Infatti, secondo consolidato indirizzo interpretativo della giurisprudenza di legittimità che, seppur risalente nel tempo, non è stato mai contrastato da pronunce di segno opposto, il dolo del reato di cui all’art. 410 c.p. è generico, di talché l’elemento psicologico di detto delitto è integrato dalla consapevolezza del fatto che, come nel caso di specie, l’azione posta in essere non è conforme alle prescrizioni o esigenze tecniche afferenti al tipo attività espletata ed è idonea ad offendere il sentimento di pietà verso i defunti”.
Il vilipendio è un oltraggio al corpo, elemento con il quale si entra in comunicazione con il mondo esterno e attraverso il quale si vivono esperienze, codificandone gli stimoli.
Il corpo - un cadavere in particolare - è rispettato al di là del valore spirituale di cui può essere carico ogni credo (religioso o filosofico); quella della tutela del cadavere è un concetto giuridico, appunto, prima ancora che spirituale o religioso.
In nessuna cultura il cadavere è considerato una irrilevante spoglia a causa del sopraggiungere della morte. Riti funebri, cure dei corpi e sepolture caratteristiche hanno da sempre accompagnato l’evento morte in ogni differente scenario culturale.
Dunque, la tutela di un corpo morto e della sua ambita assegnazione alla pace di una sepoltura serena e indisturbata rappresentano tuttora quei valori giuridicamente protetti che non possono sottomettersi a qualsivoglia pratica legata a retaggi culturali distanti dalle civiltà legalizzate.

412 c.p.: Chiunque occulta un cadavere, o una parte di esso, ovvero ne nasconde le ceneri, è punito con la reclusione fino a tre anni.
 Caratteristica primaria del delitto in questione è l’assunto che l’occultamento è teso al momentaneo celamento del cadavere, con la coscienza che il cadavere stesso sarà, prima o poi, rinvenuto.
Obiettivo di tale disposizione normativa sta nella necessità di proteggere l'integrità dei cadaveri (o delle ceneri) ed è da situarsi nel novero dei delitti dei delitti contro il sentimento religioso e contro la pietà dei defunti.
 


Pamela Mastropietro - 18 anni

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